ING. Alessandro Ruffoni - BLOG

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THE INFINITE HAPPINESS

Spesso abbiamo parlato, qui sul blog, di grandi architetture di come esse siano state pensate, studiate, progettate o realizzate. Spesso abbiamo anche parlato di grandi architetti e progettisti, li abbiamo visti in vari film all'opera sul campo. Ma...

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LA CERAMICA

Il mondo post Covid avrà due necessità impellenti: maggiori spazi per garantire il distanziamento sociale e per rendere più salubri gli ambienti frequentati dal pubblico e l'utilizzo di materiali idonei ad essere igienizzati spesso e facilmente...

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LA CASA IBRIDA

Una volta gli ambienti erano rigidamente separati e, di conseguenza, gli arredi erano pensati su misura e personalizzati a seconda degli spazi che dovevano occupare. Già da qualche anno è in atto un fenomeno in controtendenza rispetto a ...

PHOTO.SYNTH.ETICA

PHOTO.SYNTH.ETICA

LA FACCIATA ECO FRIENDLY

Questo il nome scelto da EcoLogicStudio Design, studio londinese specializzato in progettazione architettonica ed urbana, per il progetto realizzato a Dublino. Il nome racchiude l’essenza del progetto, giocando sulla parola inglese Photosynthetic (fotosintetico, riguardante la fotosintesi) e il termine italiano Etico (moralmente corretto, giusto). Quello che lo studio, guidato dagli italiani Claudia Pasquero e Marco Poletto, ha pensato per la realizzazione della facciata di questo edificio è infatti un qualcosa capace di sfruttare i benefici della fotosintesi e di costruire in modo etico, sostenibile. La facciata si compone di 16 fotobioreattori in moduli da 2x7 metri l’uno realizzati in materiale bioplastico. Il disegno di ogni pannello è realizzato in digitale e specificatamente pensato per l’installazione. All’interno di queste “sacche” trovano posto delle microalghe che si nutrono della luce solare e degli inquinanti presenti nell’aria. Il ciclo ha inizio all’estremità inferiore dei pannelli dove l’aria urbana viene immessa all’interno dei moduli e fatta confluire nelle sacche d’acqua. Qui le alghe catturano gli inquinanti e l’anidride carbonica e, tramite la fotosintesi, producono ossigeno che viene immesso in atmosfera nella sommità dei pannelli. Questo sistema ha la capacità di immagazzinare istantaneamente circa un chilo di anidride carbonica, la stessa quantità immagazzinabile da venti alberi ad alto fusto. Ma è col calare del sole che l’intero sistema diventa parte attiva nella definizione e nella caratterizzazione dello spazio urbano. Le microalghe contenute nei moduli sono infatti luminescenti, in grado di rilasciare gradualmente la luce immagazzinata durante il giorno.
Un sistema che permette di costruire edifici di grandi dimensioni che contribuiscono al miglioramento della qualità dell’aria del nucleo urbano e, allo stesso tempo, che hanno una valenza estetica e di design innegabile…più PhotosynthEtica di così !!!

IL RITO DELLA VOCAZIONE DELL'INGEGNERE

IL RITO DELLA VOCAZIONE DELL'INGEGNERE

PER NON DIMENTICARE IL VALORE DELLA NOSTRA FIRMA

Dal 1925 all'Università di Toronto è tradizione tenere una cerimonia, chiamata Rito della Vocazione dell'Ingegnere. La cerimonia è gestita dalla Società dei Sette Guardiani. Il giuramento è volontario ed è riservato agli ingegneri canadesi, ma anche gli ingegneri esteri possono essere accettati. L’inizio del rito è marcato da una serie di colpi vibrati con un martello su un’incudine. È il codice Morse delle lettere S, S, T: Steel, Stone, Time. Il momento più solenne del rito è la consegna dell’Anello di Ferro e la lettura del giuramento, il cui testo è stato scritto da Rudyard Kipling. L'Anello di Ferro è realizato in acciaio e l'ingegnere lo dovrà indossare al dito mignolo della mano dominante. Qualora l'ingegnere lasci la professione o venga a mancare, dovrà rendere il manufatto alla Società. Indossare l'anello non certifica qualcuno come ingegnere ma rappresenta l'accettazione dei valori etici e di responsabilità, ha lo scopo di fornire un promemoria per tutta la vita dell'obbligo che l'ingegnere ha preso con la lettura del giuramento. Le radici di questa celebrazione vanno ricercate ad inizio secolo. Il ponte metallico sul Fiume Saint Lawrence in Canada collassò per ben due volte tra il 1907 e il 1916 a causa di una progettazione errata e materiali scadenti. Si dice che ogni anello sia fatto con l'acciaio derivante dal ponte crollato. Il manufatto ha una superficie sfaccettata perché, essendo indossato sulla mano dominante, possa lasciare un segno sul foglio da disegno: tutto questo per ricordare all’ingegnere di mettere la massima attenzione nel suo lavoro. L'anello presenta bordi ruvidi, per simboleggiare l'inesperienza dei giovani ingegneri e per ricordare loro quante cose ancora hanno da imparare. Con il trascorrere del tempo i bordi ruvidi cominciano a levigarsi, al pari dell'aumento di esperienza, età e saggezza dell'ingegnere.
Questo rito, quasi medioevale, imprime solennità e richiama l'attenzione sulla necessità di sottolineare il rispetto dei valori dell'etica, della fratellanza, del senso di responsabilità. E se questi valori venissero risvegliati in tutti noi, probabilmente l'iscrizione all'Albo non richiederebbe l'obbligo del conseguimento dei crediti formativi.

LA TECNOLOGIA LED E LE SMART HOME

LA TECNOLOGIA LED E LE SMART HOME

L'ILLUMINAZIONE CHE VALORIZZA GLI SPAZI

Come ben sappiamo la luce è fondamentale nella vita dell'uomo. La luce scandisce lo scorrere del tempo della nostra giornata, definisce gli spazi, l'atmosfera di un ambiente, ne definisce la fruibilità, insomma, la luce contribuisce a definire il benessere psicofisico dell'uomo. Ma l'alter ego della luce è l'ombra, e anch'essa assume un importante funzione nella definizione degli spazi architettonici. Luce e ombra sono in continua simbiosi, si può generare l'ombra attraverso la luce e si può valorizzare ciò che è in luce attraverso l'ombra. La luce definisce gli spazi, l'ombra gli associa una connotazione più introspettiva. Un sapiente uso di essere permette il raggiungimento del comfort abitativo e/o fruitivo degli spazi. Ma come è cambiato l'uso della luce con l'avvento delle nuove tecnologie LED? La tecnologia LED ha cambiato radicalmente il concetto di luce a cui eravamo abituati, non più lampadine convenzionali con tradizionali cablaggi ma fonti di luce costruite intorno ad un chip od un diodo per esser funzionali allo scopo a cui sono stati destinati. Siamo in un mondo sempre più illuminato intorno alla luce dove essa è progettata per delineare lo spazio attraverso effetti luminosi, ottiche prestabilite, controllo programmato della funzionalità. Ma come integrare tutto questo e coniugare al meglio lato estetico, tecnologia, efficienza energetica, controllo intelligente delle luci LED nella progettazione delle moderne smart home? L’avvento dei corpi illuminanti a led integrato ha introdotto una serie di caratteristiche tecniche che, se usate abilmente, rappresentano un utilissimo strumento per evidenziare colori, materiali e caratteristiche identificative degli oggetti illuminati. Si pensi solo alla possibilità di poter scegliere quanto deve essere grande il cono di luce sull'oggetto considerato, stabilire quanta intensità deve ricevere, o poterne estrapolare la giusta resa cromatica, o quanto, addirittura, poter giocare con sfumature di colore della stessa luce per ottenere la miglior resa materica delle finiture.
Il futuro dell'illuminotecnica? Massima flessibilità e maggior comfort con particolare attenzione al risparmio energetico ed all'integrazione coi sistemi domotici.

MY ARCHITECT

MY ARCHITECT

IL DOCU-FILM DEL FIGLIO DI LOUIS KAHN

Un documentario diretto ed interpretato in prima persona da Nathaniel Kahn, figlio naturale del famoso architetto Louis Kahn. Un film intenso, da vedere ma sopratutto da vivere! Un lunghissimo ma al tempo stesso breve viaggio lungo la vita di uno dei pochi artisti che nel primo novecento riuscirono a fondere perfettamente in un connubio unico l'attività di ricerca teorica, l'attività di didattica e l'attività professionale. Dicevo un lunghissimo ma al tempo stesso breve viaggio perché è questa la sensazione che trasmette, sembra durare tantissimo senza annoiare mai ma giunti alla fine si vorrebbe soltanto che continuasse per saperne ancora di più delle mille sfaccettature di questo personaggio che ha lasciato un solco indelebile nel suo tempo. Di fronte alla creatività di questo architetto risulta impossibile restare indifferenti: la maestosità, la simmetricità e la forte matericità che caratterizzano le sue opere lascia col fiato sospeso. Lasciando inespresso un giudizio sulla movimentata vita famigliare (a quanto sembra Kahn aveva più relazioni e più famiglie contemporaneamente) il figlio Nathaniel si pone delle domande e, cercando le risposte, ripercorre la vita del padre attraverso l'analisi delle sue migliori opere, sia realizzate che progettate, aiutato dalle testimonianze delle persone che l'hanno conosciuto, amato, apprezzato. Probabilmente, con questo viaggio, il narratore non trova le risposte alle tante domande che gli ronzano in testa ma sicuramente ne esce arricchito da tantissime informazioni su chi era suo padre sia dal punto di vista dell'uomo che dal punto di vista dell'artista. Quello che resta e traspare dalla visione di questo film è sicuramente la concezione dell'arte come valore spirituale elevato, che trascende da qualsiasi monumento o realizzazione che, col tempo potrebbero sparire. Una dichiarazione netta, le idee, e l'arte con esse, perdurano per sempre!
Buona visione!

ECO PARK STADIUM

ECO PARK STADIUM

LO STADIO INTERAMENTE IN LEGNO BY ZAHA HADID ARCHITECTS

L'Eco Park Stadium si farà. Nel mese di febbraio di quest'anno è giunto, finalmente, il permesso di costruzione per il primo stadio calcistico realizzato interamente in legno, unico al mondo nel suo genere. La struttura innovativa, sia per i materiali che per l'alta tecnologia presente, troverà collocazione nel Gloucestershire, in Inghilterra. La firma sul progetto è dello Zaha Hadid Architects, studio fondato dall'architetto Zaha Hadid, venuta a mancare nel 2016, ed oggi diretto da Patrik Schumacher. Nata a Baghdad nel 1950, Hadid ha lanciato la sua agenzia all’età di 29 anni, dopo aver inizialmente lavorato con l’architetto Rem Koolhaas. È stata la prima donna a ricevere il Pritzker Prize for Architecture, uno dei premi più prestigiosi della professione. L'innovativo e futuristico stadio, futura sede del Forest Green Rovers Football Club, manterrà inalterato il tipico paesaggio della verde campagna Inglese in cui verrà inserito, integrando metodi di costruzione a basse emissioni e l'impiego di legname sostenibile a dimostrazione di come l'architettura sostenibile sia piacevole da vedere ed al contempo estremamente funzionale. Le previsioni progettuali promettono la realizzazione di una struttura che sarà carbon neutral o addirittura carbon negative grazie alla consistente produzione di energia rinnovabile in situ. Il progetto approvato non rappresenta propriamente l'idea pura pensata in origine dallo studio di architettura, ma è un progetto revisionato e meglio studiato dal punto di vista dell'inserimento paesaggistico. Questo ulteriore studio si è reso necessario a seguito della bocciatura del primo progetto avvenuta nel giugno 2019. Dopo quindi un iter progettuale e burocratico che ha richiesto un ulteriore approfondimento di quasi un anno, finalmente è arrivato il via libera alla costruzione per il primo stadio realizzato interamente in legno, che sarà in grado di ospitare 5000 posti a sedere. Va sottolineato come anche il nuovo stadio nazionale giapponese, progetto del nipponico Kengo Kuma e che verrà costruito in occasione dei giochi olimipici di Tokyo 2020 (posticipati al 2021 a causa della pandemia di Covid-19) sarà realizzato interamente in legno, ma sarà completato da una copertura in acciaio a differenza dell'Eco Park Stadium che sarà invece, completamente ed in ogni sua parte, realizzato in legno.

Un primato davvero notevole!

INGEGNERIA STRUTTURALE IN VETRO

INGEGNERIA STRUTTURALE IN VETRO

UN MATERIALE CHE NON E' POI COSI' FRAGILE

Parlando di vetro, tutti pensiamo immediatamente a due sue proprietà caratteristiche: la trasparenza e la fragilità.
Ma non dobbiamo fermarci qui, non dobbiamo fermarci alle apparenze, il vetro è molto più di questo.
In edilizia infatti, questo poliedrico elemento ha saputo trasformarsi in vero e proprio materiale da costruzione. Basti pensare alle courtain wall (di cui il grande Mies van der Rohe fu pioniere) che rivestono le facciate dei grattacieli esposte al vento e alle intemperie, o ancora ai parapetti formati da una lastra di vetro che possiamo trovare in luoghi pubblici enormemente affollati, oppure ai solai interamente vetrati, alle pensiline in vetro che portano con agilità il carico di grosse quantità di neve o, infine, alle scale vetrate osservabili in moltissimi luoghi pubblici. Risulta quasi superfluo, ma necessario, specificare che il vetro utilizzato per le applicazioni appena elencate deve essere in grado di garantire un certo livello di sicurezza. Per fare ciò questo materiale straordinario viene temprato oppure stratificato, al fine di garantire la sicurezza in caso di rottura, mediante l'interposizione di strati plastici tra le varie lastre incollate tra loro. Il vetro ha una composizione chimica a base di silicio, lo stesso elemento che ritroviamo in graniti, quarzi, ceramiche. E con questi ultimi condivide non solo la composizione chimica ma anche alcune caratteristiche fisiche. E' infatti estremamente resistente alla compressione ma è fragilissimo se sottoposto a trazione. Per questo motivo si rende necessaria la tempratura, proprio come avviene per i metalli.
Dal punto di vista del suo uso strutturale, purtroppo, questo materiale non viene minimamente nominato negli Eurocodici né tantomeno nelle N.T.C. 2018. In queste ultime si fa accenno però, al paragrafo 8.6, alla possibilità di utilizzare materiali non tradizionali (quindi anche il vetro) a patto che vengano garantiti dei livelli sicurezza coerenti con quelli previsti dalle Norme Tecniche delle Costruzioni. La responsabilità di verificare il rispetto di queste disposizioni resta sempre e comunque in capo al progettista. Tra le norme di riferimento sull'argomento riportiamo le istruzioni CNR-DT 210/2012, la UNI 11678, la UNI/TR 11463 ed infine la UNI 7697.
Per la formazione caratterizzante il suo percorso di studi, volta all'ottimizzazione delle quantità di materiale e delle risorse economiche, l'ingegnere strutturista è maggiormente predisposto al design essenziale ed all'estetica funzionale. Potremmo prendere come esempio il capolavoro dell'EXPO 1889 di Parigi, la torre progettata da Gustave Eiffel, e da lì proseguire negli anni per osservare come, immancabilmente, lo sviluppo delle scienze delle costruzioni sia stato un continuo evolversi verso due stelle guida, efficienza ed ottimizzazione strutturale. In un progetto le strutture possono essere considerate come protagoniste in grado di modellare l'architettura o fedeli servitrici che devono assecondarla. Se nel primo caso il rischio è quello di presentare ogni architettura come un funzionale esoscheletro, nel secondo si rischia di perdere di vista i principi della “sana e robusta” costruzione. La soluzione ottimale dovrebbe essere la ricerca di un equilibrio tra questi due modi diametralmente opposti di concepire le strutture, anche grazie alla trasparenza del vetro. Solo così le strutture potranno diventare protagoniste giocose ed ammiccanti, irriverenti ma allo stesso tempo fedeli servitrici dell'estetica e di tutte le altre esigenze che l'architettura manifesta. Strutture svincolate dai rigidi schematismi ma pur sempre fedeli a certi canoni statici irrinunciabili.
Tutto questo può essere reso possibile grazie alla trasparenza, alla forza ed alla tenacia del vetro.

ARCHITETTO? NON SOLO UOMINI - PARTE 1

ARCHITETTO? NON SOLO UOMINI

8 DONNE CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA PROFESSIONE

Qualche anno fa, il 15 dicembre 2018 per la precisione, in un lungo articolo comparso sul New York Times, Allison Arieff si interrogava sul panorama degli architetti donna. L'articolo constatava, oltre ad una scarsa attenzione da parte della stampa sul tema, anche che il numero di architetti donna che praticavano la professione negli States era molto esiguo, meno del 20%, se confrontato col fatto che metà delle persone laureate in architettura appartengono al genere femminile. Per questo mi è sembrato giusto lasciare spazio, per due settimane di fila, ad architetti donna che hanno fatto la storia della professione.

LINA BO BARDI
Architetto e designer italiana, all'anagrafe Achillina Bo, nata a Roma il 5 dicembre 1914 e naturalizzata brasiliana. Subito dopo la laurea iniziò la sua attività lavorativa presso lo studio del grande Gio Ponti. Sposò Pietro Maria Bardi, dal quale adottò il doppio cognome, e si trasferì con lui in Brasile nel 1946. Fu un architetto modernista, che metteva al centro della sua progettazione i bisogni e le abitudini dei futuri abitanti, senza tralasciare però gli sforzi per la conservazione dei quartieri storici delle città brasiliane. Fu anche molto attiva e apprezzata come designer di edifici, gioielli e mobili. Ha dedicato gran parte della sua vita, professionale e non, alla creazione di un'architettura “veramente” brasiliana. Il suo Museo d'arte e l'edificio del Servizio sociale per l'edilizia commerciale, entrambi a San Paolo, sono considerate icone della città.

JUDITH EDELMAN
L'americana Judith Edelman, morta nel 2014 all'età di 91 anni, era un'attivista sociale, una femminista ed un architetto. Nei primi anni quaranta, quando approdò alla Columbia University, dovette subire un sessismo esagerato dai suoi professori e si dichiarò delusa dal fatto che l'architettura classica fosse ancora al centro del percorso di studi. Fu a capo di una ribellione che portò all'apprendimento di più architettura modernista. Nella sua carriera si specializzò nel restauro di edifici storici e nella progettazione di alloggi a prezzi accessibili. Divenne la prima donna eletta nel Consiglio di amministrazione dell'American Institute of Architects ed è stata membro fondatore dell'Alleanza delle donne in architettura nel 1972.

KAZUYO SEJIMA
La giapponese Kazuyo Sejima raggiunse la fama per i suoi progetti architettonici principalmente indirizzati vero le architetture museali di arte moderna. Insieme al partner Ryue Nishizawa ha infatti firmato i progetti del 21st Century Museum of Contemporary Art in Giappone, del Toledo Museum of Art a Toledo in Ohio, del New Museum of Contemporary Art di New York City e del Louvre Lens a Parigi solo per citare i principali. Oltre a numerosissimi premi ha vinto il Pritzker Prize (l'equivalente del nobel per l'architettura) nel 2010.

JANE DREW
La britannica Jane Drew ha lasciato il segno nel suo paese, la Gran Bretagna, ma anche in Africa, in Medio Oriente, in India ed in Sri Lanka. Di ispirazione dichiaratamente modernista, collaborò con Le Corbusier, Maxwell Fry e con Pierre Jeanneret al progetto di sviluppo di Chandigarh, la nuova capitale del Punjab da costruire da zero. Si focalizzò molto anche sul progetto di alloggi convenienti e pratici.

CONTINUA...

ARCHITETTO? NON SOLO UOMINI - PARTE 2

ARCHITETTO? NON SOLO UOMINI

8 DONNE CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA PROFESSIONE

DENISE SCOTT BROWN
Il nome Denise Scott Brown non dirà, purtroppo, molto ai più perché messo in ombra da quello dell'ingombrante marito, l'architetto post-moderno Robert Venturi. Ha comunque un impressionante elenco di successi all'attivo come architetto ma anche come teorica ed educatrice. Destò molto scalpore la mancata menzione del suo nome all'assegnazione del Premio Pritzker nel 1991 al coniuge Robert Venturi. Si distinse, insieme al marito, nel ripudio delle strutture moderniste fatte in vetro e acciaio in favore dell'uso di ornamenti e di riferimenti storici.

SOPHIA HAYDEN
Sophia Hayden è passata alla storia per essere stata la prima donna ammessa e diplomatasi al prestigioso MIT nel 1890. Nonostante questo lusinghiero primato, faticò e non poco a farsi spazio nel mondo dell'architettura, all'epoca dominato dagli uomini. Ebbe la sua grande occasione nel 1893 con la Fiera Mondiale Colombiana di Chicago, passata alla storia per essere la prima ad essere stata interamente illuminata dalla corrente alternata, inventata da Nikola Tesla e fornita dalla società di George Westinghouse, decretandone il predominio sulla corrente continua di Edison. Il suo progetto per l'edificio femminile venne scelto e realizzato in questo contesto di visibilità internazionale. Purtroppo però, si ritirò dal mondo dell'architettura, tremendamente misogino, a seguito del trattamento ingiusto subito durante la fase di cantierizzazione del suo progetto e dopo aver visto abbattuta la sua realizzazione alla fine della fiera temporanea.

JEANNE GANG
Fin dall'apertura del suo “Studio Gang” nel 1997, Jeanne Gang ha avuto un livello di notorietà davvero invidiabile. Ma il vero salto di qualità, che l'ha resa un'archistar conosciuta in tutto il globo, è avvenuto con l'aggiunta allo skyline di Chicago dell' Aqua Tower nel 2010. Dopo tale data ha inanellato una serie di successi professionali tali da meritare una mostra personale presso l'Art Institute di Chicago nel 2012. Tra le sue realizzazioni più famose ricordiamo il SOS Lavezzorio Comunity Center, il Nature Boardwalk al Lincoln Park Zoo e il WMS Boathouse a Clark Park, tutte collocate nella sua Chicago (è infatti originaria di Belvidere, un ora ad ovest di Chicago).

ZAHA HADID
Ultima ma non per ordine di importanza, Zaha Hadid è forse il nome più famoso e conosciuto della lista che abbiamo stilato in questo lungo articolo apparso in due puntate. Irachena di origine, naturalizzata britannica, è tristemente venuta a mancare nel 2016 all'età di soli 65 anni. Di un recente progetto del suo studio, che ha raccolto la sua eredità stilistica ed architettonica, abbiamo parlato in un precedente articolo. Oltre ad essere ricordata come la prima donna ad aver vinto, nel 2004, il Premio Pritzker, sicuramente resteranno nella memoria di molti la sua grande personalità ed i suoi disegni molto audaci che le hanno permesso di affermarsi in un mondo che, ancora negli anni 2000, era fortemente dominato dagli uomini. La sua architettura e distinta e incorpora asimmetria, fluidità e colpi di scena inaspettati. Tra le sue principali opere possiamo ricordare il National Center for Contemporary Arts di Roma, realizzato nel 2010, oppure l'Evelyn Grace Academy edificata a Londra nel 2011 o, ancora, l'Heydar Aliyev Center costruito a Baku, in Azerbaijan, nel 2012.

FRANK GEHRY

FRANK GEHRY

CREATORE DI SOGNI

Per chi non sapesse chi fosse Frank Gehry, beh, stiamo parlando di uno degli architetti più famosi e più influenti del XX secolo, che con il suo modo di concepire l'architettura è stato in grado di influenzarla e di modificarla radicalmente rendendola meno conservatrice e più anticonformista. "Frank Gehry – Creatore di Sogni" più che di un documentario ha il sapore di un pomeriggio passato tra amici. Verrà ricordato sicuramente per essere stato il primo, e purtroppo anche l'ultimo, documentario del regista Sidney Pollack (venuto a mancare nel 2008) che nella sua lunga carriera di attore prima e regista poi ha collezionato una serie di successi culminati con i 7 premi Oscar per “La mia Africa” nel 1986 di cui era produttore e regista. Pollack racconta che, quando l'amico di vecchia data Frank (nato Ephraim Goldberg a Toronto, in Canada, da una famiglia di ebrei polacchi e successivamente naturalizzato statunitense) gli chiese di realizzare un documentario sulla sua vita e sul suo lavoro, lui rispose che non aveva mai realizzato un documentario in vita sua e, oltretutto, non sapeva proprio nulla di architettura. La risposta di Gehry fu spiazzante, al limite dell'ironico: “E' proprio per questo che ho pensato a te!”. Il racconto non segue rigidi schemi temporali e nemmeno rispetta i canoni della formalità tipici dei documentari. Sembra piuttosto raccontare le impressioni ed i pensieri delle persone che conoscono in modi diversi il grande architetto, senza che però il regista si esponga in prima persona in giudizi anche quando è egli stesso ad apparire in video. Tra le diverse persone che partecipano a questo documentario, abbiamo amici, conoscenti, collaboratori, addirittura il terapeuta personale dell'architetto ed anche un suo detrattore. Ma soprattutto, a parlare, sono le opere di Frank Gehry, rese magistralmente da Pollack attraverso un mezzo bidimensionale come il cinema, senza che la magnifica tridimensionalità ne venga compromessa. Sicuramente un documentario fruibile e piacevole, che non si prefigge di essere un opera completa ed esaustiva quanto più un racconto, una testimonianza, capace di immortalare momenti di vita quotidiana (in auto, davanti ad un caffè al bar) e di quotidiana creatività, in atelier, dove le idee messe su carta in un groviglio di linee vengono poi concretizzare con modelli tridimensionali elettronici o fisici. Una piccola finestra che permette di vedere all'opera colui che è stato definito “padre della decostruzione poststrutturalistica”, di coglierne lo spirito pieno di immaginazione, di fantasia, a tratti geniale, spesso sarcastico e a volte schivo. Un bellissimo ritratto di un grande architetto, che per Pollack sembra quasi essere una piacevole pausa da più importanti lavori. Un documentario che, inconsapevolmente, è divenuto purtroppo un timido ma sincero saluto all'arte del cinema che Sidney Pollack ha dovuto, suo malgrado, abbandonare per sempre.

A CASA MIA FACCIO QUELLO CHE VOGLIO!

A CASA MIA FACCIO QUELLO CHE VOGLIO!

SFATIAMO UN (FALSO) MITO

"A casa mia faccio quello che voglio!". Quante volte vi è capitato di sentire questa frase parlando con un cliente od un conoscente in merito alle sistemazioni interne di un'unità immobiliare? Tante? Beh...questo non significa che le cose funzionino proprio così. Oggi proverò a fare un po' di chiarezza e a sfatare questa leggenda metropolitana secondo cui, all'interno delle quattro mura di proprietà, tutto sia lecito e concesso (dal punto di vista edile, si intende!).
Mettiamo il caso che vogliate "ristrutturare" casa demolendo i pavimenti e le tramezzature, mettendo il riscaldamento a pannelli radianti a pavimento, rinnovando gli impianti e cambiando la disposizione dei locali senza in alcun modo intervenire sulle strutture dell'edificio. Dal punto di vista normativo, l'intervento che avete in mente non sarà una ristrutturazione, come erroneamente viene comunemente chiamata, ma un intervento di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3 comma 1 lettera b) del Testo Unico dell'Edilizia (D.P.R. 380/2001 - di seguito T.U.E.). Infatti, e cito testualmente la normativa: "[...] interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso. [...]". Compreso quindi come il nostro intervento viene chiamato dalla normativa, andiamo a cercare, sempre nel T.U.E., la classificazione dei tipi di lavori eseguibili rispetto al titolo abilitativo necessario.
All'articolo 10 comma 1 del T.U.E. vengono elencati gli interventi soggetti a Permesso di Costruire (di seguito PdC) e, scorrendo questo elenco, non troviamo alcun riferimento agli interventi di manutenzione straordinaria come quello che abbiamo intenzione di realizzare.
Passiamo quindi all'art. 22 comma 1 del medesimo testo di legge, dove troviamo elencati gli interventi soggetti a Segnalazione Certificata di Inizio Attività (di seguito SCIA) e, escludendo le lettere b) e c) che trattano di casistiche a noi lontane, un campanello di allarme si accende nel leggere "Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività [...]: a) Gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;". Pertanto non ricadiamo nemmeno in questa casistica dal momento che nelle nostre intenzioni non si andrà a modificare o toccare in alcun modo la struttura.
Esclusi quindi PdC e SCIA, il cerchio si stringe intorno a due possibili strade da seguire: l'attività edilizia libera, eseguibile senza la necessità di alcun titolo abilitativo, che confermerebbe la leggenda metropolitana che "A casa mia faccio quello che voglio!" oppure la Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (di seguito CILA).
Quale delle due soluzioni è quella corretta dal punto di vista normativo? Ci basterà leggere l'articolo 6 del T.U.E. per comprendere come la Manutenzione Straordinaria senza intervento sulle parti strutturali non sia un'attività ricompresa tra le, poche, classificate come Edilizia Libera. Proseguendo nella lettura del corpo normativo incontreremo il successivo articolo 6bis che prevede, al primo comma, che "Gli interventi non riconducibili all'elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, sono realizzabili previa comunicazione dell'inizio dei lavori [...]". Mistero risolto e mito sfatato, se volete fare delle modifiche interne in casa vostra la scelta corretta, dal punto di vista normativo, è la CILA!

IL NUOVO PONTE DI GENOVA

IL NUOVO PONTE DI GENOVA

COME E' FATTO?

Giusto due giorni fa, il 14 agosto, cadeva il secondo anniversario del crollo parziale del Ponte Morandi. Insieme all'imponente opera di ingegneria se ne sono andate anche 43 vite, e sulle responsabilità e sulle colpe in questa spigolosa faccenda, la magistratura sta ancora indagando. Il mese scorso si sono concluse le operazioni di collaudo che hanno permesso la consegna del nuovo Viadotto Genova-San Giorgio alla collettività, secondo il progetto dell'archistar Renzo Piano. Tutti noi conosciamo le fattezze, le linee sinuose, il profondo significato simbolico della nuova opera ingegneristica e dei suoi particolari. Tutti noi ricordiamo, in pieno lock down COVID, quell'illuminazione tricolore che è stata capace di infondere forza e ottimismo. Ma da un punto di vista meramente tecnico, ingegneristico, come è fatto il Nuovo Ponte di Genova? Proviamo a scorpirlo.

Dopo la demolizione di quello che restava del Ponte Morandi e lo smaltimento dei detriti, si è provveduto alla realizzazione dell'imponente e complesso sistema di opere di sottofodazione realizzato mediante palificate. I pali delle sottofondazioni sono poi stati uniti in enormi plinti in calcestruzzo armato, uno per ogni pila. Le pile, anch'esse realizzate in calcestruzzo armato, hanno un'altezza di 45 metri e sono l'elemento caratterizzante dell'intero manufatto. Per questo motivo, ad esse, sono state dedicate moltissime attenzioni sia nella fase di progettazione che nella fase di realizzazione in opera. Innanzitutto la scelta della sezione che segue la geometria dell'ellisse permette di eliminare qualsiasi tipo di spigolo od angolo retto e lasciare quindi scivolare la luce sulla superficie, mitigandone l'impatto visivo. Superiormente, poi, ogni pila è dotata di due “menischi” (così li ha definiti Renzo Piano) che isolano l'interno impalcato stradale dalle strutture che lo sostengono. Questo accorgimento permette di avere una struttura in grado di resistere alle sollecitazioni causate da un ipotetico sisma. Ma questi menischi sono molto di più che una semplice soluzione tecnica necessaria al rispetto della normativa antisismica, sono un vero e proprio punto caratterizzante del progetto sia sotto il profilo strutturale che sotto quello formale. In essi infatti confluiscono tutti gli sforzi derivanti dall'impalcato che, per loro tramite, vengono trasmessi alle fondazioni. La sezione dei menischi va rastremandosi gradualmente man mano che ci si allontana dal piano stradale. Questa soluzione è in grado di mettere in risalto solo il punto di contatto con le pile, permettendo all'intero ponte di “respirare” senza che vi siano influenze sulla stabilità e sulla resistenza dei materiali anche in presenza delle più disparate condizioni climatiche. Giungiamo infine all'impalcato, una struttura in acciaio e calcestruzzo della larghezza complessiva di 26 metri la cui forma ricorda la carena di una nave. Man mano che ci si porta alle estremità la sagoma si riduce gradualmente, attenunandone notevolmente l'impatto visivo. La scelta di verniciare gli elementi in acciaio con un colore chiaro rende il ponte luminoso e armonizzato all'interno del paesaggio circostante. Alle estremità una struttura di “costole” in acciaio, disposte ad un passo di 1,50 metri e sagomate in continuità con la curvatura dell'impalcato, permette la realizzazione, con un grigliato metallico, del passaggio tecnico pedonale. Infine la barriera protettiva anticaduta e antivento, realizzata interamente in vetro e alta 2,50 metri, aiuta a mitigare l'impatto visivo della nuova struttura oltre a permettere di godere del paesaggio cirocastante ai chi attraversa il nuovo viadotto. Dal punto di vista energetico, l'installazione sul bordo dell'impalcato dei pannelli fotovoltaici permette al ponte di auto-produrre l'energia necessaria al suo sostentamento notturno e diurno, a ricordare la vocazione produttiva della Val Polcevera. Per Piano il nuovo viadotto non è solo un'infrastruttura di trasporto ma è "ponte urbano" collocato all'interno di un'area dalla forte presenza antropica. Per rafforzarne la presenza rassicurante, nelle ore notturne, è stata prevista un'illuminazione che enfatizza la continuità ritmica del bordo del ponte e della sequenza delle pile.

UNA STRUTTURA SOSTENIBILE IN “LEGNO LUNARE”

UNA STRUTTURA SOSTENIBILE IN “LEGNO LUNARE”

IL CASO DELL'HOTEL LA BRIOSA

Un progetto inedito e del tutto particolare, in cui si abbina al recupero di un edificio storico in muratura la realizzazione di una nuova struttura in legno lunare dell'Alto Adige. Questo potrebbe essere il syllabus dell'intervento per il nuovo Hotel La Briosa che verrà ultimato nella primavera 2021 nel centro di Bolzano, a due passi da Piazza Walther, su progetto dei due giovani architetti bolzanini Felix Perasso e Daniel Tolpeit, con la consulenza concettuale di Tiftla, società specializzata nell'allestimento degli spazi alberghieri. La famiglia D'Onofrio, committente e proprietaria della struttura, ha infatti ricevuto la concessione edilizia da parte degli uffici comunali e i lavori sono prossimi a partire. La struttura originaria sarà recuperata a partire dal basamento in muratura, un carattere tipico delle costruzioni del centro storico della città. Ma su questa base, in una tipologia di intervento del tutto inedita, verrà innestato il nuovo sviluppo in massello lunare, uno dei più antichi dell'edilizia. Ma cos'è di preciso il legno lunare? Si tratta di un’antichissima tradizione che vuole che gli alberi vengano tagliati al momento giusto, ovvero con la luna calante; il legno viene poi lasciato asciugare in verticale, a testa in giù con la sua corteccia e alcuni rami intatti. Sarà la forza di gravità ad eliminare ciò che resta della linfa tra i rami, che poi verranno tagliati. Secondo quanto affermato dai produttori di questo tipo di legname, questo processo produce un legno di qualità superiore che non rischia screpolature, rotture e deformazioni, così come non rischia infestazioni di insetti, garantendo alle costruzioni maggiore durata. Inoltre, questo processo non comporta alcun uso di tossine o forni di essiccazione, creando così un impatto ambientale inferiore. Il comfort naturale e la qualità del sonno nelle diciassette ampie stanze dell'hotel saranno garantiti anche dall'assenza di colle, chiodi o vernici e dall'eliminazione di fonti inquinamento elettromagnetico. L'intento dei giovani architetti è quello dichiaratamente reinterpretativo degli elementi architettonici tipici del centro storico di Bolzano attraverso un linguaggio contemporaneo. Questo si concretizza nel dare all'edificio un'apparenza inaspettata ma pur sempre rispettosa del contesto. La Briosa si distinguerà anche per le scelte architettoniche di colore e stile oltre che per la peculiarità dei prospetti, ideati con precisione per creare una prospettiva diversa delle aperture dell'edificio a seconda della posizione dell'osservatore. Arrivando dal centro l'edificio si caratterizzerà, infatti, per un approccio moderno con un linguaggio lineare e stilizzato, mentre percorrendo la direzione opposta il fabbricato si integrerà nel contesto con uno stile più morbido e arrotondato.

L'ARCHITETTO DELLA LUCE

L'ARCHITETTO DELLA LUCE

IL DOCUFILM SU RENZO PIANO

Il grande maestro del cinema spagnolo, il quasi novantenne Carlos Saura, ha provato a raccontare il processo creativo di uno dei più grandi architetti viventi, l'italiano Renzo Piano. Il docufilm ha come cornice l'incarico ricevuto da Piano per la realizzazione del Centro Botin per l'Arte e la Cultura nel 2010. Saura segue l'architetto nella realizzazione dell'intera opera, inaugurata nel 2017, documentandone dettagliatamente lo stato di avanzamento dei lavori e ponendo in risalto il punto di vista dell'archistar nostrano sia nei riguardi del progetto per il Centro Botin che, più in generale, nei confronti dell'idea che egli ha di architettura. Ciò che ne esce è la trasposizione su celluloide del metodo di lavoro dell'architetto, delle sue aspirazioni per la sua opera e delle fonti di ispirazione che, ad essa, danno linfa vitale. Il racconto in fotogrammi così realizzato, diventa spunto di riflessione sul processo creativo in senso totale, andando ad evidenziare il concetto di arte proprio del grande progettista e sottolineando quelli che sono gli elementi che, da sempre, ne influenzano la visione dell'architettura. La natura come fonte di ispirazione e guida, la sua ossessione per la luce naturale e il rapporto che essa ha con lo spazio che riesce a definire e caratterizzare, il cinema e la fotografia e la loro capacità di immortalare la quarta dimensione del nostro mondo, il tempo. Oltre a questo, la concezione calviniana che sia la città ad influenzare la vita dei suoi abitanti e ad educare le nuove generazioni. Questi sono solo alcuni punti della sua visione che, attraverso il lungometraggio, traspaiono allo spettatore. In buona sostanza l'arte di Renzo Piano si pone come missione quella di illuminare il mondo donandogli bellezza e poesia, e nel lavoro di Saura questo viene più volte sottolineato ed evidenziato. E' attraverso l'arte, infatti, che l'autore dell'opera può stimolare ed essere fonte di ispirazione per l'innesco di altri processi creativi e, quindi, per la creazione di altra bellezza. Per Renzo Piano l'arte non è un atto razionale, prevedibile o gestibile attraverso rigidi schemi. L'arte è come guardare al buio, per lui: prima di capire ciò che accadrà bisogna far si che gli occhi si adattino all'oscurità prendendosi il tempo necessario.

Un docufilm davvero notevole e piacevole nel complesso, che vi invito a vedere!

SOLARE FOTOVOLTAICO

SOLARE FOTOVOLTAICO

QUALI OBBLIGHI DI LEGGE?

L'attenzione al risparmio energetico, all'efficienza energetica ed all'utilizzo di fonti di energia rinnovabili sono argomenti che, negli ultimi anni, hanno gradualmente assunto un ruolo di primaria importanza all'interno del dibattito pubblico per la transizione, ormai inevitabile, dei nostri sistemi economico-produttivi verso un'economia maggiormente sostenibile, la cosiddetta Green Economy. Questa transizione non può non interessare anche il comparto edilizio, ed è per questo che già dal 2011 una normativa nazionale, precisamente il Decreto Legislativo n.28 del 2011, introduceva l'obbligo di integrazione delle fonti energetiche rinnovabili in specifiche tipologie di interventi edilizi. Per gli interventi di nuova costruzione o per i cosiddetti interventi di ristrutturazioni rilevanti (che il decreto stesso, all'articolo 2, definisce come interventi di demolizione o ricostruzione di edifici esistenti oppure interventi di ristrutturazione integrale dell'involucro edilizio di edifici con superficie utile superiore ai 1000 mq) sono infatti previsti dei requisiti minimi di integrazione delle rinnovabili. Essi possono essere riassunti, a partire dal 1° gennaio 2018, come l'obbligo di produzione da fonti energetiche rinnovabili del 50% dell'energia necessaria alla produzione di Acqua Calda Sanitaria, del 50% dell'energia totale necessaria ai servizi di ACS, riscaldamento e raffrescamento ed all'installazione in copertura di un campo solare fotovoltaico di potenziale proporzionale alla superficie in pianta, a livello del terreno, dell'edificio. Pertanto gli interventi di nuova costruzione e gli interventi di ristrutturazioni rilevanti dovranno necessariamente prevedere, installato in copertura, un campo solare fotovoltaico. Ma quanto deve essere grande questo campo fotovoltaico? La normativa prevede, per titoli abilitativi ottenuti dopo il 1° gennaio 2017, un potenza installata espressa in kW di picco pari a 1/50 della superficie in pianta a livello del terreno dell'edificio. Ad esempio, un fabbricato che presenta una superficie lorda di 100 mq dovrà necessariamente installare un impianto da P= 100/50 = 2 kWp. Tutto bello ma, in soldoni, a quanto corrispondono 2 kW di picco? Beh, la resa per ogni pannello fotovoltaico è molto variabile e dipende, oltre che dall'orientamento e dall'inclinazione, anche dalla tecnologia adottata e dalla casa produttrice. In modo empirico, ai fini di un dimensionamento di massima, è universalmente accettato l'assumere dai 7 ai 9 mq circa di pannelli fotovoltaici per ottenere 1kW di picco. Quindi il nostro impianto fotovoltaico di esempio, che dovrà fornire 2kWp, dovrà avere una superficie compresa tra 14 e 18 mq. Questi gli obblighi minimi previsti dalla normativa attualmente vigente.

È ovvio che nessuno vieta di installare una superficie e, quindi, una potenza superiore a questa!

SCHOONSCHIP

SCHOONSCHIP

IL QUARTIERE GALLEGGIANTE PIU' SOSTENIBILE D'EUROPA

Quest'oggi vi voglio parlare di Schoonschip, quello che potrebbe essere definito come un “Villaggio Evoluto”. Il prototipo urbano di questo innovativo quartiere galleggiante, situato ad Amsterdam e composto da 46 case in totale, porta la firma dello studio di urbanistica sperimentale Space&Matter. L'approccio di progettazione dell'intero quartiere ha assunto un punto di vista totalmente inedito, coinvolgendo attivamente i residenti sia nella progettazione vera e propria che nella determinazione dei nuovi modelli di convivenza. Infatti gli abitanti possono personalizzare a piacere le loro case utilizzando un apposito manuale realizzato dallo studio con la collaborazione di 20 architetti. Oltre a questo, l'aspetto altamente innovativo di Schoonschip sta nella sua gestione dell'energia. Ogni singola abitazione è dotata di un campo solare fotovoltaico che sopperisce ai fabbisogni elettrici dell'abitazione. L'energia in eccesso viene stoccata in appositi accumulatori e può anche essere “scambiata” con una speciale criptovaluta, denominata Jouliette, che può essere utilizzata per l'acquisto di beni e servizi all'interno del quartiere. Una sorta di moderno “baratto”. Una pompa di calore acqua-acqua, poi, sfrutta l'energia contenuta nel fluido del canale su cui le abitazioni galleggiano per provvedere alla climatizzazione invernale ed estiva delle unità abitative. A tutto questo bisogna aggiungere il riutilizzo, tramite una rete duale, dell'acqua piovana che viene raccolta attraverso i tetti giardino, un utilizzo intelligente e razionale dei rifiuti (l'energia viene recuperata anche dalle acque nere) e, ciliegina sulla torta, un parcheggio con punti di ricarica per le automobili che sono rigorosamente elettriche e condivise tra gli abitanti. Infatti, coloro che aderiscono al progetto acquistando un'abitazione all'interno del quartiere, devono rinunciare all'auto di proprietà.

Schoonschip, il quartiere galleggiante più sostenibile d'Europa...zero emissioni, produzione di energia pulita e un nuovo modello di convivenza che è proiettato al futuro!

ASFALTO BIOLUMINESCENTE

ASFALTO BIOLUMINESCENTE

IL FUTURO PER LE PISTE CICLABILI

Già dal 2014, in Olanda, si è iniziato ad installare segnaletica autostradale bioluminescente e a realizzare i primi tratti di piste ciclabili con asfalto sensibile alla luce solare. Da allora le tecniche ed i materiali sono stati studiati a fondo, migliorati ed affinati sino a giungere alla fine dello scorso anno quando, proprio in Italia, è stata inaugurata la pista ciclabile con asfalto luminescente più lunga al mondo. Si tratta della pista ciclabile dei laghi di Nabi, in provincia di Caserta. La ditta Bright Materials è stata la prima, sin dal 2017, a realizzare un'installazione destinata a pista ciclabile di questo tipo. Sfogliano la gallery del loro sito, si possono osservare le suggestive immagini della segnaletica stradale o del tracciato stesso che, al calare della notte, si illuminano in modo naturale respingendo le tenebre. Ma come fa l'asfalto ad illuminarsi? Resta illuminato per molto tempo? Quanto consuma, energeticamente parlando, un'installazione di questo genere? Vediamo di fugare ogni dubbio. La ditta produttrice parla di “pigmenti intelligenti”, ossia particolari pigmenti di origine naturale che hanno la capacità di catturare e immagazzinare la luce del sole o la luce artificiale e di vivere poi di luce propria una volta che si trovano al buio, restando comunque visibili per parecchi metri. L'effetto luminescente ha una durata massima di 10 ore, più che sufficienti per illuminare con luce diffusa i percorsi durante le ore notturne. Una volta raggiunta la massima carica, grazie all’esposizione per pochi minuti ad una qualsiasi fonte luminosa, l’effetto luminescente ha una durata prolungata senza bisogno di elettricità. Quindi a consumo zero. Il pigmento prodotto dalla Bright Materials può essere inglobato nel ciclo produttivo di vetro, ceramica, plastica, vernici, pitture decorative e resina in quantità a piacere, andando a ricreare l'effetto desiderato. In assenza di luce il materiale fotoluminescente prende vita, creando nuovi spazi emotivi e applicazioni estremamente funzionali per la sicurezza. Un materiale innovativo che, timidamente, si sta affacciando sul mercato italiano e che permette una maggiore sicurezza sopratutto della mobilità dolce, sempre in chiave ecofriendly visti i consumi di energia nulli!

LA CASA DEI NOSTRI SOGNI

LA CASA DEI NOSTRI SOGNI

OVVERO “MR. BLANDINGS BUILDS HIS DREAM HOUSE”

New York, secondo dopoguerra. La sveglia suona, fastidiosissima, in uno dei grattacieli di edilizia residenziale intensiva di Manhattan. La famiglia Blandings, famiglia media americana composta dal padre Jim (Cary Grant), la madre Muriel (Myrna Loy), le due figlie Joan e Betsy, la governante di colore Gussie e la gabbietta con l'uccellino vive stretta in pochi metri quadri (lo stesso Jim la definirà “una scatola di cracker di 4 stanze”). Scatta la lotta del mattino. La corsa per andare in bagno e non trovarlo occupato, il riuscire a farsi la doccia con l'acqua calda, il riuscire a farsi la barba prima che lo specchio si appanni, il trovare i calzini, le mutande, i vestiti, lo schivare scatole e scatoloni che cadono dagli angoli più impensati stracolmi di cose. “Non abbiamo armadi sufficienti, non si trova più niente, non ne posso più, il solo riuscire a farsi la doccia dovrebbe comportare una medaglia...” così Jim si sfoga con l'amico, l'ironico e sornione avvocato Bill Cole (Melvyn Douglas). Vista la situazione è giusto per la famiglia Blandings sognare una casa nel Connecticut, con tanti armadi, un bagno ciascuno, la sala-giochi con biliardo e ping pong, la veranda davanti alla cucina con una vasca per i fiori di Muriel e un locale tranquillo al piano superiore dove potrà lavorare a maglia e fare tutti quei lavoretti che tanto le piacciono. Nel leggere il giornale, tagliuzzato dalla figlia per poter svolgere i compiti scolastici, Jim trova l'annuncio di vendita di una casa enorme che potrebbe avere il potenziale di soddisfare tutti i loro sogni e le loro aspettative. Sull'onda dell'entusiasmo i coniugi Blandings vanno a visionarla e, senza pensarci troppo, la acquistano. Ed è da questo momento che questa deliziosa, frizzante, irresistibile commedia ci mette un po' tutti davanti allo specchio. Tremendamente attuale ancora oggi, a distanza di oltre 70 anni. Mentre le disavventure del povero Jim si susseguono ed i preventivi si gonfiano a dismisura, di pari passo aumenta la comicità delle situazioni. Ed allora avremo l'idraulico che scava un pozzo di 77 metri senza riuscire a trovare l'acqua mentre solo un po' più in là, da un buco di 2 metri, zampilla una sorgente che allaga tutto il cantiere. O ancora le finestre che sono state consegnate ad un altro indirizzo, le porte che si chiudono ma poi non si aprono più, la realizzazione di una semplice fioriera che comporta un aumento esponenziale delle spese, le mensole incastrate ed il distillatore per addolcire l'acqua...insomma...sull'orlo della bancarotta, col pensiero della casa che, assorbendo tutte le energie di Jim, lo sta condannando al licenziamento, a pochi passo dal sogno realizzato il nostro povero Cary Grant sta per gettare la spugna, arrivando a sbraitare:

“La odio (questa casa n.d.a.), la odio dalle mensole incastrate al distillatore NR1. Chiunque si costruisca una casa è un pazzo! Non appena cominci ti mettono nella lista, la lista dei polli da spennare! Cominci con costruire una casa e finisci all'ospizio dei poveri, e se succede a me cosa succederà a quelli che guadagnano anche meno di me? Agli sposini freschi freschi che vogliono una casa propria? È una congiura, te lo dico io, una congiura contro tutti i giovanotti e le ragazze che si vogliono bene!”

Ed è qui che, a risollevare gli umori, l'idraulico bussa alla porta dicendo che c'era un errore nei conteggi di 12 dollari e 36 centesimi. Ma in positivo, è lui che deve restituire i soldi a Mr. Blandings. A coronamento di ciò, sarà proprio Gussie a fornire l'ispirazione che Jim cercava da mesi, permettendogli di salvare il posto di lavoro e poter così pagare la casa dei loro sogni!

IL MICROEOLICO DOMESTICO

IL MICROEOLICO DOMESTICO

UNA FONTE RINNOVABILE UN PO' TRASCURATA

Qualche settimana fa ho parlato di fotovoltaico, una fonte di energia elettrica rinnovabile e sempre più diffusa stante anche gli obblighi di legge e la flessibilità di impiego che ne permette l'utilizzo praticamente ovunque. Oggi voglio parlarvi di un'altra fonte di energia totalmente rinnovabile che però viene un po' trascurata, almeno in Italia, perché nell'immaginario collettivo non ha ancora fatto breccia: il microeolico domestico. Infatti, parlando di eolico, tutti pensano alle enormi turbine che caratterizzano, e un po' deturpano, lo skyline delle località in cui vengono installate. Con microeolico domestico invece, si intendono dei piccoli e discreti impianti che possono essere installati sostanzialmente ovunque, a patto che la zona sia battuta dai venti in maniera costante durante tutto l'anno. La velocità minima richiesta per avere delle prestazioni di impianto performanti è di 5 m/sec. Il microeolico domestico può essere installato in qualsiasi parte della casa, dal giardino alla copertura passando per il balcone. Il suo ingombro comunque limitato lo rendono tutto sommato molto flessibile, con l'unica accortezza di verificare preliminarmente che la zona in cui si intende installare l'impianto goda di buona esposizione al vento. Il microeolico di tipo verticale è il sistema maggiormente utilizzato in ambito domestico. A differenza del microeolico orizzontale che presenta dimensioni medio grandi ed un elevata rumorosità, il microeolico verticale coniuga dimensioni davvero contenute e una rumorosità quasi nulla, a scapito però delle prestazioni che risultano meno performanti rispetto a quelle del sistema orizzontale. Il "kit base" per un impianto microeolico domestico si compone di una microturbina, di un inverter, di una batteria per l'accumulo dell'energia elettrica prodotta e di un regolatore per la carica. La potenza necessaria per alimentare un'abitazione si aggira intorno ad 1 kW, ma esistono turbine in grado di fornire anche 3 o 5 kW maggiormente adatti a contesti aziendali o di uffici. Il costo di un kit base si aggira sui 300 euro, giungendo fino a 5000 euro per un impianto maggiormente strutturato e complesso. L'investimento iniziale comunque verrà ripagato nel breve periodo, sia grazie all'utilizzo di energia elettrica autoprodotta che grazie agli incentivi statali che permettono di cedere al gestore l'energia elettrica prodotta in eccesso. Il sistema microeolico presenta molteplici pregi quali la facilità di installazione, la scarsa burocrazia necessaria alla sua realizzazione, la vita media utile dell'impianto abbastanza lunga (si aggira intorno ai 20 anni) e, come detto, la possibilità di accedere ad incentivi statali e di vendere il surplus di energia. I limiti del microeolico sono invece da ricercare nell'impossibilità di installarlo nei luoghi con battuti dai venti, nell'eccessiva usura delle turbine in zone estremamente ventose e nei costi di installazione e gestione sicuramente più alti rispetto ad altre tecnologie (ad esempio il fotovoltaico).

Casa tua è costantemente battuta dal vento? Prova a informarti, potresti farlo diventare una risorsa invece che un problema!

DOMOTICA

DOMOTICA

QUANDO LA CASA DIVENTA SMART

Oggigiorno si sente spesso parlare di domotica, che viene presentata come l'ultimo ritrovato tecnologico per rendere la propria casa iperconessa, gestibile tramite lo smarthphone, per avere quella che viene definita la “Casa Smart” o, in inglese, “Smart Home”.
In realtà gli addetti ai lavori parlano di domotica da più di un decennio, ma sicuramente la diffusione dei dispositivi quali Alexa by Amazon o Google Assistant prodotto dall'azienda di Mountain View hanno contribuito a diffondere il concetto di una domotica alla portata di tutti.
In questo breve articolo proveremo a fare un bilancio su quello che è lo stato dell'arte della tecnologia per ottenere la cosiddetta “Casa Intelligente”. Partiamo dal primo, ancestrale, dilemma che chiunque voglia avventurarsi in questo mondo deve assolutamente sciogliere.

Meglio Alexa o Google?

A questo quesito risulta complicato rispondere: è un po' come chiedere ad un fotografo se è meglio Canon o Nikon o ad un utilizzatore di Smartphone se è meglio Andorid o iOS. Ognuno tenderà a consigliarvi quello che utilizza, perché entrambi hanno ottime caratteristiche e presentano pregi e difetti.
Quello che posso dirvi è che, secondo i vari test effettuati da esperti del settore, se si circoscrive il funzionamento di questi due dispositivi alla gestione domotica della casa. Alexa sembra essere leggermente migliore per quattro principali motivi:
1. Ha un'interazione vocale più immediata e risponde con una voce più “umana”;
2. La configurazione dei prodotti è più semplice per mezzo di apposite Skill;
3. Presenta microfoni e qualità audio superiore;
4. I prodotti della linea Echo, ossia i prodotti dedicati ed interfacciabili con Alexa di Amazon, sono maggiori in numero e varietà di funzioni.
Se anche per quanto riguarda i prezzi, ci si mantiene sostanzialmente sulla stessa fascia, Alexa rispetto a Google è, ovviamente, meno performante per quanto riguarda la compatibilità con il lato ricerca e con tutto il mondo Google in generale.
Sciolto questo dubbio, si può quindi procedere a rendere domotica la propria casa. Come? Innanzitutto comprando un kit base, che sarà poi possibile implementare in base alle esigenze, di lampadine “domotiche”. Il prodotti Philips Hue sono si più costosi rispetto ad altre marche ma sicuramente sono la scelta migliore che si possa fare.
Abbiamo ora le lampadine a controllo vocale, il prossimo passo? I sensori di movimento. Installarli in punti strategici renderà sicuramente più vivibile la vostra casa. Ad esempio potete pensare di installare delle strisce LED sotto al letto che si attivano al movimento per poi spegnersi dopo un tempo prestabilito, deciso da voi. Potrete andare in bagno in tutta tranquillità senza disturbare nessuno ed evitando di urtare col mignolino lo spigolo dei mobili! Le applicazioni poi possono essere le più svariate, sbizzarritevi. Anche qui, i prodotti Philips Hue sono i migliori sul mercato e ci sentiamo di consigliarveli a cuor leggero.
Luci e sensori “intelligenti” sono la base per una casa che si possa considerare “domotica”. I passi successivi possono essere la telegestione dell'impianto di riscaldamento/raffrescamento, la gestione di tutti gli apparecchi con telecomando ad infrarosso come la tv, ad esempio, l'installazione di prese smart (controllabili sempre tramite il vostro assistente domestico) ed infine la messa in opera di un sistema di videosorveglianza. Anche qui, l'universo di prodotti disponibili è sterminato, vi consigliamo di prendere prodotti di qualità e pienamente compatibili con l'assistente vocale da voi scelto.

Siete pronti per entrare nel futuro?

SCALDARE CON LE POMPE DI CALORE

SCALDARE CON LE POMPE DI CALORE

UNA SCELTA FATTIBILE?

Un po' di tempo fa abbiamo parlato di impianti solari fotovoltaici e dei relativi obblighi di integrazione previsti dalla normativa vigente. Assodato che su interventi estesi o sulle nuove costruzioni è un obbligo l'installazione di impianti per la produzione in situ di elettricità, stanno sempre più prendendo piede i sistemi di riscaldamento a “Pompe di Calore”. Questo per due motivi fondamentali: le pompe di calore sono alimentate a corrente elettrica che si è obbligati a produrre e, cosa ancora più importante, sono generatori di calore/fresco a fonti energetiche rinnovabili quindi idonei al rispetto dell'obbligo di integrazione previsto dal Decreto 28/2001.
La prima domanda che molti clienti mi pongono quando gli si parla di sistemi di questo tipo è: ma sono sufficienti a provvedere, da sole, al riscaldamento e al raffrescamento? E in seconda battuta: Chissà quanta corrente consumano!.

Le risposte non sono quelle che, probabilmente, si aspettano.

Ebbene si, con una sola pompa di calore, dimensionata correttamente, si riesce a riscaldare in inverno e a raffrescare in estate e a fornire la necessaria acqua calda sanitaria in ogni momento dell'anno. Basti pensare che mi è capitato di progettare sistemi impiantistici di questo tipo, composti da due pompe di calore distinte l'una dedicata al risaldamento/raffrescamento e l'altra all'acqua calda sanitaria, che soddisfano le richieste di un albergo intero in una nota località sciistica e di villeggiatura situata in Provincia di Sondrio. Quindi, pochi dubbi al riguardo, una pompa di calore è sufficiente per tutti gli usi che avete in mente! In merito alla seconda obiezione, chissà quanto cosuma, beh...non dimenticate che la corrente elettrica non la pagate perché la producete col vostro campo solare fotovoltaico! Inoltre i consumi sono minori rispetto a quelli che si potrebbero pensare, se anche doveste acquistare l'energia elettrica dal gestore elettrico. Un esempio concreto, il mio ufficio ha una superficie di circa 45 mq e nei mesi estivi di luglio e agosto la pompa di calore per il raffrescamento, unitamente al sistema di ricircolo dell'aria, ha funzionato giorno e notte. Rispetto alle bollette dei due mesi precedenti in cui il sistema di raffrescamento non è stato sostanzialmente utilizzato (un buon cappotto termico permette anche un risparmio in questo senso), la maggior spesa si è attestata sui 20 euro al mese.
20 caffè in un mese.
Non mi sembrano assolutamente cifre fuori dal normale.
In conclusione, scaldare/raffrescare e produrre acqua calda sanitaria con un sistema a pompa di calore è fattibilissimo, poco inquinante e sostenibile economicamente. Se poi il tutto si abbina ad un impianto di ventilazione meccanica con recuperatore di calore, il sistema diventa davvero molto performante raggiungendo un ottimo grado di comfort abitativo.

ISOLARE COL VETRO CELLULARE

ISOLARE COL VETRO CELLULARE

L'ULTIMO RITROVATO TECNOLOGICO

Chi, come noi professionisti, bazzica un po' per le fiere dell'edilizia sa per certo come spesso vengano presentati prodotti innovativi, dalle caratteristiche super performanti, che ti permettono di risolvere tutti i problemi della tua costruzione ma che però, alla prova dei fatti, si rivelano essere dei flop totali. Cosa c'entra tutto questo? Beh, oggi voglio parlarvi di un prodotto che non rientra tra quelli di cui sopra anche se ne sono venuto a conoscenza proprio grazie ad una fiera dell'edilizia. Di cosa sto parlando? Beh, come avrete già letto nel titolo oggi sono a parlarvi brevemente del vetro cellulare. Il vetro cellulare è un prodotto che può essere fornito sotto forma di lastre o sotto forma di ghiaia e presenta delle ottime caratteristiche sotto molti aspetti. Innanzitutto ha un'ottima capacità di resistenza alla compressione ed ai carichi concentrati, caratteristica che lo rende idoneo anche per l'isolamento sottofondazione o in pavimentazioni carrabili. In secondo luogo è estremamente resistente al fuoco ed al passaggio del fumo, isola ottimamente dalla corrosione e dal passaggio di acqua rendendolo adatto all'applicazione controterra. Infine presenta una conducibilità termica pari a 0,036 W/mK, le stesse prestazioni fornite da un EPS qualsiasi. Probabilmente avrò già convinto chi non è del mestiere, ma chi nell'edilizia ci lavora potrà obiettare che le stesse caratteristiche, tutto sommato, si possono trovare anche nell'XPS o in altri materiali similari. Quindi dove sta l'aspetto innovativo di questo materiale? Semplicemente, il fatto che possa essere fornito sotto forma di ghiaia e non solo ed esclusivamente in pannelli. In molti cantieri mi è capitato di utilizzarlo come riempimento isolante e drenante a tergo delle murature controterra oppure in sostituzione del vespaio areato e dell'isolante sottofondazione per la formazione di un piano di posa stabile per le platee di fondazione. Infatti l'utilizzo della ghiaia in vetro cellulare è ammesso dalle ATS come alternativa alla formazione del vespaio areato, essenziale per la gestione del gas Radon. Immaginate di dover effettuare uno scavo in roccia di 60cm per la formazione di isolamento sottofondazione e di vespaio areato e di poter compattare il tutto in soli 20 cm di vetro cellulare in ghiaia. La prestazione garantita da questo sistema è la stessa, con un risparmio di 40 cm di scavo in roccia su tutta la superficie della fondazione.
Capite quindi perché è un materiale davvero versatile e funzionale?

BAUHAUS SPIRIT

BAUHAUS SPIRIT

100 ANNI DI BAUHAUS

Era di pochi giorni fa il nostro ormai consueto sondaggio mensile per mezzo delle Instagram Stories che aveva come protagonista Walter Gropius. L'architetto del Novecento è sicuramente passato alla storia anche per essere stato l'ideatore di quella scuola di arte e design operativa dal 1919 al 1933 in Germania, denominata Staatliches Bauhaus. L'originaria sede fu a Weimar, salvo poi venir trasferita a Dessau, nell'edificio appositamente progettato dallo stesso Gropius.
In ricordo dei cent'anni di fondazione di questa scuola, che riuscì ad essere anche il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d'innovazione nel campo del design e dell'architettura legati al razionalismo e al funzionalismo, è stato realizzato il docufilm Bauhaus Spirit – 100 anni di Bauhaus. La regia porta la firma dei tedeschi Bolbrinker e Tielsch. In questo viaggio, per appassionati, si procede con un parallelismo continuo tra il passato ed il presente arrivando a spaziare anche su realtà simili, pur molto diverse dal punto di vista estetico, come la “Cité Radieuse” di Le Corbusier a Marsiglia o il barrio Picacho di Medellìn, in Colombia.
Nel documentario non poteva mancare Steven Kobatz, teorico del Bauhaus a partire dal 1989 e ideale erede delle teorie del maestro Walter Gropius. Il percorso che il documentario fa svolgere allo spettatore, introspettivo e accurato, permette di capire un po' più a fondo quello che si nasconde dietro il processo creativo che incarna le idee del Bauhaus, ancora oggi. Come si costruisce un nuovo mondo? Questa è la domanda fondamentale da cui gruppi di architetti sviluppano progetti per cambiare il modo di vivere della gente, in meglio ovviamente. Ed ecco che possiamo vedere come una palestra verticale collocata in un contesto degradato possa essere punto di ritrovo, di coesione sociale e di lotta alla criminalità. O ancora le minuscole case prefabbricate in vendita ad un prezzo irrisorio che contengono al loro interno tutti i comfort ed i servizi necessari. Utopie e rivelazione che, partendo dai concetti di abitazione, vivibilità urbana e da un'ideale di uguaglianza sociale ed economica riescono a creare progetti in contesti agli antipodi ma con l'unico obiettivo di migliorare i contesti umani in cui viviamo. I risultati? Delle volte ci sono e delle volte no, ma sicuramente val la pena di correre il rischio e tentare di realizzare qualcosa che renda migliore la vita degli abitanti del luogo!
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IL GDPR

IL GDPR

LA TUTELA DELLA NOSTRA PRIVACY

Il 25 maggio 2018 è entrato in vigore il Regolamento UE 679/2016, meglio noto come GDPR (General Data Protection Regulation). Un nuovo impianto normativo che mira a tutelare maggiormente la privacy dei consumatori finali. L'impatto di questo regolamento, dopo più di due anni, si è forse dimostrato meno dirompente di quello che era in previsione ma di sicuro ha segnato una piccola rivoluzione in merito alla gestione dei dati personali da parte di tutte le attività che, per operare, sono obbligate ad acquisirli, utilizzarli, archiviarli. Anche gli studi professionali come il nostro, che per operare trattano moltissimi dati personali dei loro clienti, si sono dovuti adeguare stilando informative e consensi da far firmare ad ogni cliente, provvedendo a rendere anonimi faldoni e fascicoli, illustrando i diritti del proprietario dei dati, specificando per quali usi il dato sarebbe stato impiegato e spiegando le modalità di memorizzazione e gestione del dato. Non da meno i siti web, incluso quello che state visitando ora, sono stati obbligati ad inserire un pop-up o un banner a scomparsa che informa su quali cookie sono attivi all'interno della pagina, con che modalità sfruttano il dato e specificando quali cookie sono considerati “necessari” per il funzionamento della pagina web e quali invece “accessori”.
Ma quali sono i diritti del consumatore, “dell'interessato”, previsti dal GDPR? I princiapali sono 8, ossia: il diritto all'informazione, il diritto di accesso, il diritto alla rettifica, il diritto di revoca del consenso, il diritto di opporsi, il diritto di opporsi al trattamento automatizzato, il diritto all'oblio ed infine il diritto alla portabilità dei dati. Con diritto all'informazione si intende la possibilità da parte dell'interessato di ottenere informazioni circa quali dati personali vengono utilizzati ed in che modo. Il diritto di accesso ed il diritto alla rettifica invece permettono all'interessato di poter visionare in qualsiasi momento i propri dati personali, di richiederne una copia e di modificarli qualora ritenga non siano aggiornati o corretti. Il diritto alla revoca prevede la possibilità di ritirare in qualsiasi momento il consenso fornito in precedenza per l'utilizzo dei dati, ben diverso dal diritto all'oblio che permette all'interessato di richiedere la cancellazione definitiva ed irreversibile del dato fornito. Il diritto all'opporsi potrebbe sembrare a prima vista equivalente al diritto alla revoca del consenso, ma questa analogia si configura solo quando il consenso viene ottenuto in maniera corretta e l'utilizzo dei dati è conforme a quanto indicato in esso. In caso di consenso ottenuto con mezzi non regolari o di utilizzo improprio del dato il diritto all'opporsi assume una forma propria nel corso dei procedimenti giudiziari. Il diritto di opporsi al trattamento automatizzato è quella facoltà che l'interessato ha di chiedere che una pratica od un particolare procedimento venga analizzato manualmente e non automaticamente per avere garanzia di un corretto ed equo trattamento. Infine, il diritto alla portabilità dei dati permette all'interessato di trasferire i propri dati da un operatore ad un altro in maniera semplice, veloce e sicura.
Sperando di essere riusciti a fare un po' di chiarezza sull'argomento, ci tenevamo a rassicurarvi. I vostri dati sono al sicuro con noi, abbiamo deciso di utilizzare un QR code per etichettare tutti i nostri faldoni che sono alla vista di tutti al fine di rendere anonimi i nomi dei committenti delle varie pratiche, facciamo firmare il consenso e l'informativa sulla gestione dei dati personali e, soprattutto, non cediamo a nessuno i vostri dati per fini di lucro!

ADIDAS E PARLEY FOR THE OCEANS

ADIDAS E PARLEY FOR THE OCEANS

ECCO LE ECO SNEAKERS

Adidas, la celeberrima multinazionale bavarese, ha realizzato in collaborazione con Parley for the Oceans un modello di scarpe da ginnastica realizzate grazie al riciclo sotto forma di filamento delle plastiche che inquinano i nostri oceani. Questa scarpa da corsa ad alte prestazione si colloca all'interno della linea Futurecraft.Loop, una linea di prodotti realizzati in poliuretano termoplastico completamente riciclabile tant'è che, a fine vita, il prodotto può essere restituito a Adidas che provvederà a scomporlo e a riutilizzarlo per nuove calzature. Il prototipo di questa nuova e innovativa calzatura perfettamente ad “economia circolare” è stato presentato in occasione di un evento di Parley for the oceans tenutosi presso le Nazioni Unite a New York ed il lancio sul mercato è previsto entro il 2021. Un paio di scarpe è il frutto del recupero di circa 16 bottiglie di plastica in PET e di 13 grammi di plastica derivante dalle vecchie reti da pesca in nylon. Questi materiali vengono utilizzati principalmente per formare la tomaia. Le restanti parti sono, quindi, in poliuretano termoplastico che è l'unico materiale “vergine” delle calzature ma che, come già accennato, è completamente riciclabile. Con questi nuovi prototipi quindi la multinazionale di Herzogenaurach dimostra grande sensibilità alle tematiche di salvaguardia dei nostri oceani dall'inquinamento dovuto alle materie plastiche, sposando appieno quello che è l'auspicio di Parley for the Oceans. Questo movimento statunitense si pone come mission quella di organizzare eventi ed iniziative con lo scopo di sensibilizzare e far conoscere alla gente le problematiche ambientali dei nostri oceani. Ma non solo, si pone come catalizzatore allo sviluppo di idee creative per riutilizzare e dare nuova vista a questi rifiuti.
Un valido proposito, il trasformare un problema in una risorsa!

FATTURA ELETTRONICA

FATTURA ELETTRONICA

QUANTO COSTA AVERLA?

Il primo gennaio 2019 è stata un data spartiacque per il mondo fiscale ed imprenditoriale. Dopo mesi di martellanti avvisi, seminari organizzati ad hoc, pubblicità dei più disparati software che ti promettono una gestione automatizzata dell'intero processo e, perché no, varie telefonate al commercialista...la fattura elettronica obbligatoria anche tra privati è entrata finalmente in vigore. Non per tutti però. Ad esempio, oltre a medici e farmacie, società sportive dilettantistiche e piccoli produttori agricoli, sono esentati dall'obbligo anche le imprese od i lavoratori autonomi aderenti al regime di vantaggio o al regime forfettario. Si stima che sono esentati dall'obbligo di fatturare elettronicamente, all'incirca, 2˙200˙000 Partite Iva. Ma in cosa consiste la fattura elettronica? E' conveniente aderirvi, per i non obbligati, oppure no? Ma, soprattutto, quanto costa? Per esperienza personale non posso che dare un feedback positivo alla fattura elettronica. Riduzione degli spazi di archiviazione, riduzione dei tempi di emissione, riduzione del consumo di carta, maggior controllo di quanto si fattura e calcoli semplificati in sede di dichiarazione dei redditi. Ma procediamo con ordine. La fattura elettronica consiste, sostanzialmente, nell'emissione del documento fiscale non in formato cartaceo ma in formato digitale, rispettando determinati standard (FatturaPA in formato .xml) e trasmettendo il documento attraverso il Sistema di Interscambio, un servizio sviluppato e implementato dall'Agenzia delle Entrate che permette la gestione di tutti i flussi di dati elettronici sia in termini di trasmissione che in termini di archiviazione, che è obbligatoria in digitale per 10 anni. Gli aspetti positivi, come elencati in precedenza, non mancano. Tutto questo mi ha spinto ad adottarla anche se il mio regime fiscale, forfettario, mi avrebbe permesso di farne a meno. E sinceramente sono contento della scelta effettuata. A maggior ragione perché il costo è pari a 0. Esatto, avete letto bene! 0, zero, null, nada...! Vi chiederete, ma allora il costoso software che pago per la gestione delle fatture elettroniche? O l'abbonamento annuale al servizio di pincopallino.it ? Non sono assolutamente necessari! Infatti, registrandovi al portale dell'Agenzia delle Entrate potrete accedere alla vostra area personale e, da qui, gestire tutte le vostre fatture attraverso un servizio totalmente gratuito messo a disposizione dall'ente fiscale. Anche l'archiviazione di 10 anni, attivabile mediante apposita scelta specifica, è gratuita. Io, gestendomi in autonomia l'aspetto contabile e di dichiarazione reddituale, utilizzo questo servizio sin dal 2019 e mi sto trovando benissimo. E' sufficiente avere un indirizzo PEC a cui far ricevere le fatture emesse da altri nei vostri confronti ed il gioco è fatto!

BIG TIME

BIG TIME

BIG IN UN DOCUMENTARIO

Lo studio di architettura Bjarke Ingels Group, conosciuto ai più con l'acronimo BIG, è uno studio internazionale di architettura sperimentale e d'avanguardia fondato nel 2005 dall'architetto Bjarke Ingels a Copenaghen, in Danimarca. Proprio del fondatore e creativo dello studio, Bjarke Ingels, parla il documentario distribuito da Wanted nel 2017 con Kaspar Astrup Schröder alla regia. Viene narrata la sua vita, tra il 2011 e il 2016, analizzando attentamente il suo processo creativo, il suo modo di concepire l'architettura e di lavorare. In particolare, oltre ad analizzare e presentare le sue architetture più celebri già realizzate, si segue l'iter per la realizzazione del suo progetto più ambizioso: realizzare un grattacielo che prenda lo spazio che era stato delle Twin Towers. Ma mentre Bjarke si mette all'opera per realizzare quello che è il suo sogno, la minaccia di una grave malattia rischia di compromettere tutto. Uno sguardo senza filtri su quella che è la vita privata dell'architetto, ma anche sul suo processo creativo, sulle problematiche e i compromessi connessi al suo lavoro e che, suo malgrado, deve accettare. Una visione a tutto tondo sull'intimità e sulla fragilità dell'architetto danese che, lo ricordiamo, The Wall Street Journal annovera tra le più grandi star dell'architettura. Un documentario piacevole, che alterna momenti di dolcezza e romanticismo nella descrizione del suo rapporto con la futura moglie a momenti di freddezza calcolatrice, quasi fatalista, con l'analisi della sua vita a 40 anni, delle opere compiute e delle opere che riuscirà a compiere nella vita che gli resta da vivere. Da vedere assolutamente per provare a carpire qualche segreto creativo dell'architetto danese che è, unanimemente, considerato un genio dell'architettura.

VERSO UN'ARCHITETTURA INCLUSIVA

VERSO UN'ARCHITETTURA INCLUSIVA

GLI SPAZI ACCESSIBILI AL TEMPO DEL COVID

Di disabilità e di strategie di inclusione si è iniziato a parlare sul finire degli anni '60 del secolo scorso. Si iniziò a parlare di Universal Design, un approccio, una metodologia progettuale ad ampio spettro che si poneva come obiettivo la realizzazione di edifici, ambienti, prodotti e la teorizzazione di metodologie di insegnamento e comunicazione accessibili e fruibili da ogni categoria di persone a prescindere dall'eventuale presenza di una condizione di disabilità. Per quanto riguarda il campo della progettazione architettonica, in Italia, questi principi di universalità vennero recepiti già nel 1968. Bisognerà però attendere la Legge n. 13 del 1989 ed il conseguente regolamento di attuazione per avere un dettato normativo che, ancora oggi, è il faro guida per la progettazione degli spazi accessibili a tutti. Ma dopo più di trent'anni, nel concreto, quanto si è riusciti a passare dalle parole ai fatti? Secondo la professoressa Valeria Tatano dello Iuav di Venezia, intervistata da "Il Sole 24 ore" nel maggio scorso, resta ancora da superare un profondo paradigma culturale che non riesce a far comprendere come la disabilità sia una condizione relativa. Chiunque può essere disabile in qualche contesto. Partendo da questo assunto, quindi, il mutamento culturale necessario ed auspicabile trae origine, necessariamente, dalla mutazione del linguaggio e dai simboli con cui si indica l'handicap. In architettura tutto ciò si traduce nel superamento del concetto di barriera architettonica per parlare di progettazione accessibile ed inclusiva. Una progettazione, ossia, che propone soluzioni universali non più perfette per soddisfare un singolo bisogno ma quanto più compatibili per soddisfare le esigenze di tutti. Lo step successivo consisterà quindi nel confutare il costrutto logico secondo cui una progettazione inclusiva è irrimediabilmente poco estetica e comporta lo "spreco" di molto spazio. Gli esempi di avanguardia non mancano di certo, basti pensare agli interventi sulle sedi delle istituzioni europee ad opera di Mitzi Bollani, o l'accessibilità resa a Palazzo Chiericati a Vicenza o nella Maison à Bordeaux dell'architetto olandese Rem Koolhaas. Senza pensare per forza in grande come gli esempi citati, è comunque nei dettagli che si gioca la differenza su larga scala. In molti casi infatti è sufficiente uscire dagli schemi classici con cui si è progettato sino a ieri, prestando attenzione ai dettagli, per comprendere come la stessa funzione possa essere collocata nello stesso spazio ma in maniera diversa, accessibile, universale. L'assenza di ostacoli di fronte a una soglia di ingresso, la progettazione di maniglie, interruttori, pulsanti alla portata di tutti o un migliore sfruttamento del design delle cucine per consentire i movimenti risulta sicuramente un vantaggio per tutti, non solo per le persone con disabilità specifica, al costo di piccolissimi accorgimenti in fase esecutiva. Oggi più che mai, visto il perdurare dell'emergenza pandemica, torna attuale questo discorso. Basti pensare all'importanza che sta sempre più assumendo il tema del distanziamento e dell'igiene principalmente e soprattutto nei luoghi pubblici ed accessibili al pubblico. Ottenere una città accessibile significa giungere ad un luogo dove una mamma che spinge una carrozzina non ha ostacoli così come non li ha un turista che trasporta un trolley, un anziano che deve buttare una cartaccia o una persona che si deve muovere in sedia a rotelle. Una città maggiormente sicura e davvero alla portata di tutti.

NANORESINA

NANORESINA

COPRE IL VECCHIO E RIDÀ VITA ALLE STANZE

Parlando di pavimenti, si vuole coprire ciò che ormai non si ama più perché ha stufato, sa di vecchio, di "già visto"? Oppure si ha intenzione di dare un nuovo look alla casa? La risposta è sempre una, nanoresina. Tra i prodotti più innovativi sul mercato, ne troviamo davvero di tutti i tipi e per tutti i gusti. Come CoverHD di HDsurface, una nanoresina che permette di creare continuità visiva tra differenti materiali permettendo di rivestire, oltre ai pavimenti, anche mobili, battiscopa, porte e infissi. Un prodotto nanotecnologico ad effetto coprente, disponibile in 111 varianti di colore e applicabile su legno, metallo, plastica, cemento, ceramica, tessuto, materiali naturali e sintetici. L'effetto finale è quell'effetto Mat tanto ricercato dai truccatori per i visi delle modelle e che, con l'applicazione di un sottile strato di questa resina, si può ottenere su tutte le superfici. Rinnovandole e permettendo di personalizzarle con decori o pattern. E' risaputo, quando si ha a che fare con resine e decori è sempre meglio rivolgersi a personale specializzato ed esperto, onde evitare disastri. Una volta in loco, si provvederà a preparare la base per il pavimento su cui, poi, si potrà intervenire con acrilici e pennelli. A chiusura del tutto si poseranno due o tre strati di resina antigraffio che possono dare, all'occorrenza, un effetto lucido, mat o satinato. Sempre in campo nanoresine, interessantissima è l'ultima nata in casa Gobbetto, Dega Energy. Si tratta della prima resina magnetica mai prodotta. La sua struttura è stata modificata e arricchita con pigmenti, cariche fibrose, quarzifere e metalliche che hanno ottime capacità magnetiche e conduttive. Questo permette di migliorare notevolmente la capacità termica dei pannelli radianti annegati e pavimento e di fornire una vera e proprio barriera contro le onde elettromagnetiche. Ultimo ritrovato, infine, è TexFloor. Un rivestimento innovativo, ideato da Instabilelab, che permette di rivestire le superfici calpestabili con qualsiasi delle innumerevoli grafiche a catalogo. TexFloor è resistente al fuoco e all'acqua, attutisce i rumori, non teme l'usura da calpestio e può essere lavato come qualsiasi pavimento in resina. Nanoresina quindi, un materiale ultratecnologico al servizio del recupero dell'antico!

LA CASA IBRIDA

LA CASA IBRIDA

A PROVA DI LOCKDOWN

Una volta gli ambienti erano rigidamente separati e, di conseguenza, gli arredi erano pensati su misura e personalizzati a seconda degli spazi che dovevano occupare. Già da qualche anno è in atto un fenomeno in controtendenza rispetto a questi impieghi così schematici e rigidi degli spazi e degli arredi. Il lockdown ha dato una notevole accelerata al fenomeno. Sempre più sono infatti le richieste di mobili e spazi che possano diventare liquidi, ibridi, polifunzionali. Oltre a questo, il periodo di soggiorno forzato nelle abitazioni ha fatto comprendere l'importanza della sosenibilità, della naturalezza, della luce e del verde. Tutto questo contribuirà sicuramente a dettare nuovi standard di progetto dello spazio architettonico, la casa non sarà più concepita come albergo, funzionale solo al riposo e, in parte, ai pasti ma come spazio più articolato, che racchiude al suo interno una miriade di funzioni: lavoro, studio, palestra, area relax, spazi dedicati alla cura della persona e spazi di aggregazione (quando si potrà tornare alla convivialità). Una casa ibrida quindi, non più solo ed esclusivamente ospitante una funzione residenziale ma in grado di adattarsi alle esigenze più disparate dei suoi abitanti. Il tutto grazie a mobili dinamici, dove un armadio può diventare cucina o ufficio, un tavolo può trasformarsi in scrivania. Insomma, la qualità dell'abitare ha assunto una nuova importanza, dopo mesi chiusi dentro a case spesso troppo piccole e poco adattare ad ospitare le funzioni che siamo stati a trasferirvi. Se prima la casa era vista solo come un rifugio, con tutto quello che è attinente alla sfera della socialità che veniva lasciato fuori, a partire dal primo lockdown questo principio è stato invertito con il mondo che è stato costretto ad entrare nelle nostre case. La soluzione per ottenere spazi confortevoli e positivi per gli abitanti della casa non può che essere quella di progettare e realizzare una casa mutevole, adattabile alle varie esigenze del momento o della giornata intera. Oltre a questo, il lockdown, ha aperto gli occhi circa l'importanza della qualità dei materiali scelti e, sopratutto, circa la centralità è l'imprescindibilità degli spazi di contatto con la natura, col mondo esterno: balconi, logge, terrazzi. Questo momento storico, pur nella sua tragicità, può lasciare una nota positiva nel mondo della progettazione e dell'architettura cambiando radicalmente il paradigma organizzativo standard della casa, verso una casa ibrida, più congeniale ai suoi abitanti e adattabile ad ogni situazione. La casa del futuro!

LA CERAMICA

LA CERAMICA

UN MATERIALE COVID-FREE

Il mondo post Covid avrà due necessità impellenti: maggiori spazi per garantire il distanziamento sociale e per rendere più salubri gli ambienti frequentati dal pubblico e l'utilizzo di materiali idonei ad essere igienizzati spesso e facilmente. Tra questi spicca sicuramente la ceramica. Come ben saprete il nostro paese è uno dei più grandi produttori di ceramica al mondo (siamo al sesto posto nella “classifica” dei produttori mondiali) ed è per questo che sembra più che positivo il fatto che la ceramica giocherà sicuramente un ruolo importante nella nuova edilizia. Oltre ad essere facilmente igienizzabile, infatti, la ceramica è un materiale con una vita utile molto lunga, se trattata con le dovute accortezze, ed è smaltibile senza troppe difficoltà a fine vita. Inoltre, l'utilizzo sempre più diffuso di materie prime naturali, rende questo straordinario materiale appetibile anche per tutti i committenti che desiderano avere una casa fatta con materiali green e a basso impatto. Le aziende italiane del settore quindi ripartono da qui, dalla bontà del prodotto e dalle sue straordinarie caratteristiche fisico-chimiche. Che sia forse da questo settore strategico che trarrà origine la cosiddetta ripartenza economica che tutti stiamo aspettando? Staremo a vedere, non ci resta che attendere...e magari, nel frattempo, potremmo anche rifare il pavimento di casa nostra con la ceramica, rigorosamente, Made in Italy!

THE INFINITE HAPPINESS

THE INFINITE HAPPINESS

21 GIORNI NELLA 8HOUSE

Spesso abbiamo parlato, qui sul blog, di grandi architetture di come esse siano state pensate, studiate, progettate o realizzate. Spesso abbiamo anche parlato di grandi architetti e progettisti, li abbiamo visti in vari film all'opera sul campo. Ma mai ci siamo posti il problema di sapere come le persone vivono l'architettura una volta che, per così dire, i “riflettori si spengono”, il cantiere termina e le costruzioni ospitano i loro utilizzatori. Il docufilm che vi proponiamo oggi si riallaccia all'articolo pubblicato il mese scorso. The Infinite Happiness è un viaggio di 21 giorni all'interno di una delle creazioni della vulcanica mente dell'archistar danese Bjarke Ingels, la 8house. Ma non un viaggio qualunque. Si possono vedere i contributi e le testimonianze di chi, l'architettura di Bjarke, la vive ogni giorno. Il particolare complesso residenziale/commerciale è denominato 8house a causa della sua forma, ma è il concept di progetto che vi sta dietro ad essere davvero particolare. Un moderno villaggio di montagna, ispirato a quelli delle Alpi, dove la popolazione che vi vive è prima di tutto una piccola comunità. Ed è così che vediamo l'inventore un po' strampalato che opera nei sotterranei del complesso, nel suo laboratorio, e gira per le infinite rampe che collegano la copertura dell'edificio al piano terra su di un monociclo. Oppure la grande famiglia danese che ha deciso di comprare tre appartamenti nel complesso per dar la possibilità a nonni, figli e nipoti di vivere a stretto contatto. O ancora la coppia follemente innamorata, anche dopo molti anni di matrimonio, che si gode la vita in uno degli appartamenti del complesso e che non ha difficoltà nel definire Bjarke un folle, ma in senso buono. A queste storie si intrecciano le fatiche del giardiniere per tenere l'erba del giardino regolata, vista la conformazione irregolare del terreno, le fatiche del postino o del fattorino del ristorante situato a piano terra che sembrano perdersi nell'effettuare le consegne. Ma la 8house non è solo questo. Nelle enormi distese erbose vicino a cui sorge, i residenti hanno fondato un'associazione che, a fronte di un piccolo contributo, alleva bestiame da carne da distribuire in parti uguali agli iscritti. Le riparazioni o i piccoli interventi di manutenzione domestica sono garantiti in pochissimo tempo e gratuitamente da un gruppo di residenti che sono appassionati di bricolage o che sono in pensione e che mettono a disposizione della comunità il loro tempo. Il giardino e le rampe che collegano tutto l'edificio da cima a fondo sono un enorme parco giochi all'aperto per i bambini che risiedono nel complesso, così come un enorme parco per fare attività fisica e allenarsi, anche sfruttando le sale comuni in cui vengono organizzati corsi e attività. Ma non mancano le posizioni critiche, un residente lamenta l'eccessiva invasività dei turisti nel suo giardino privato per scattare foto al complesso architettonico. Sostiene di aver avuto un infarto a causa della poca tranquillità con cui deve vivere proprio a causa dei turisti e vuole vendere ed andarsene. Insomma, un film genuino e sincero che fa apprezzare e riflettere su un principio a cui l'architettura dovrebbe sempre guardare, la vivibilità e la fruibilità di quanto progettato. Ve lo consiglio caldamente!

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